lunedì 25 maggio 2015

Riflessioni per l’Itaca in ognuno di noi e sul viaggio della vita



 


Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
nè nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.


Kostantinos Kavafis












Camino de Santiago

Chi sono ?
Solo uno che passa
su questa scaglia di mondo che casualmente è ispanico,
uno che ha trovato una fonte
e si è fermato  a dissetarsi.

Non chiedermi che strada ho fatto:
ho vissuto, ho visto, ho dimenticato.

Non chiedermi il nome:
sono quello che vedi
e il resto lo devi scoprire.

Non  seguirmi:
neanch’ io ho una rotta tra i volti
né una mappa per questo labirinto.

Solo una… incerta… meta…

Se vuoi camminare con me,
da compagno - su questa strada
parleremo, sì,  parleremo…

(2004, sul Camino)  



mercoledì 20 maggio 2015

per tutte le rose spente in questo strano maggio















                            (riproduzione di The soul of the Rose di J. Watehouse di A.Musso)


Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l'ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d'acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l'anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l'assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d'una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorno i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall'acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.

(Pablo Neruda , 5 gennaio 1942)




                                           (Renato Guttuso ritrae Pablo Neruda)

CUANDO SEPAS QUE HE MUERTO

Cuando sepas que he muerto, no pronuncies mi nombre
porque se detendrá la muerte y el reposo.

Cuando sepas que he muerto di sílabas extrañas
pronuncia flor, abeja, lágrima, pan, tormenta.

No dejes que tus labios hallen mis once letras.
Tengo sueño, he amado, he ganado el silencio.

(Quando saprai che son morto  non pronunciare il mio nome
perché si fermerebbe  la morte e il riposo.
Quando saprai che son morto di sillabe strane
pronuncia fiore, ape, lacrima, pane, tempesta.
Non lasciare che le tue labbra trovino le mie undici lettere.
Ho sonno, ho amato, ho  raggiunto il silenzio).

Attribuita a Ernesto Guevara de la Serna  “El Che”
(…e se non è sua, amo pensare che avrebbe potuto…)


lunedì 18 maggio 2015

Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico.” Albert Camus




                                                                            






                             







                                                     Amicizia

                              Non diamo notizie ma tu sai come stiamo,
                              compi un viaggio di anni in un battere d’ali.

                              Capisci tutto da uno sguardo,
                              conosci i più intimi segreti.

                              Sorridi come un libro serio e onesto,
                              tergi il sudore dalla fronte di chi è stanco.

                              Tutto passa e presto si disperde,
                              ma tu, amicizia, rimani al nostro fianco.

                              Nazim Hikmet




CONFIDENZA

Da un po’ di tempo, amici
non riesco più a essere in orario
- o troppo  presto o molto più tardi.
Con l’età non mi fa più paura
la frugalità
ma lo squallore,
mentre continuo a indulgere  alla bellezza
che mi ostino a cercare ovunque
con  indifferente successo.

La rima? Non l’ho mai amata.
La metrica e il verso? Li ho dimenticati
dopo averli trattati per anni.

In me perdura soltanto
uno spurio enjambement
quasi negletto, in cui il verso
sincopa o echeggia
come le onde che riempiono il mare
di ritmi irrisolti.

La luce, amici miei, mi s’allontana
e anche i giornali, dopo i cinquanta
mi sembra li scrivano
con più  minuti caratteri.

Perdura su tante macerie
una distacco furbastro
di chi guarda e sa già la direzione,
un disincanto che rinuncia al sogno
dove finanche il sonno è interrotto.

Per cause nondimeno misteriose
la vostra voce rimane inalterata
e mi conforta
come un  ritorno fanciullesco a casa.


Fabrizio Sapio