giovedì 11 maggio 2017

Sono venuta da te come gli astronauti, di pianeta in pianeta







E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.


Constantinos Kavafis

 
Alberto Savinio, senza titolo 1929


Volevo appenderla a un muro della stanza.
Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata.
Non la metto in un quadro questa foto.
Dovevo conservarla con piú cura.
Queste le labbra, questo il viso –
ah, per un giorno solo, per un’ora
solo tornasse quel passato.
Non la metto in un quadro questa foto.
Mi fa soffrire vederla cosí guasta.
Del resto, se anche non fosse guasta,
che fastidio badare a non tradirmi –
una parola o il tono della voce –
se mai qualcuno mi chiedesse chi era.

Costantino Kavafis
(Traduzione di Nicola Crocetti )


 
Alberto Savinio, il sogno del poeta



Nelle mie braccia tutta nuda
     la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
     si riflettono sul mio viso.
Di chi è questo cuore che batte
     più forte delle voci e dell’ansito?
è tuo è della città è della notte
       o forse è il mio cuore che batte forte?
Dove finisce la notte
     dove comincia la città?
dove finisce la città dove cominci tu?
       dove comincio e finisco io stesso?

Nazim Hikmet


Kavafis by Rinaldo Hopf



















Sono venuta da te come gli astronauti,
di pianeta in pianeta. La mia anima
si apre dalle tue dieci dita sul mio corpo.
Prendimi a te, porta la colomba
ai confini del grido sui tuoi fianchi: l’orizzonte
e l’eco. Lascia i cavalli galoppare invano
dietro di me, ché non vedo ancora la mia immagine
nella loro acqua… non vedo nessuno,
nessuno, non ti vedo. Che ne hai fatto
della mia libertà? Chi sono dietro
le mura della città? Non una madre a strofinare
i miei lunghi capelli con il suo eterno henné,
non una sorella che li intrecci. Chi sono fuori dalle mura,
tra i campi neutri e un cielo grigio?
 Sii mia madre nel paese degli stranieri. E portami
dolcemente verso ciò che sarò domani.
Chi sarò domani? Nascerò dalla tua
costola, donna senz’altra preoccupazione
che decorare il tuo universo? O piangerò laggiù
una pietra che guidava le mie nuvole all’acqua del tuo pozzo?
Portami ai confini
della terra prima che il mattino spunti su una luna
in lacrime di sangue nel letto. Portami dolcemente
come la stella porta a sé i sognatori, invano
e invano.
Invano guardo dietro i monti di Moab.
Nessun vento a riportare il vestito da sposa. Ti amo,
ma il mio cuore vibra del ritorno dell’eco e langue
per un altro iris. C’è tristezza più ambigua
per l’anima della gioia della ragazza
per le sue nozze? E ti amo benché mi ricordi
di ieri e mi ricordi di aver dimenticato
l’eco nell’eco.
Eco nell’eco, sono venuta da te
come il nome, che passa di essere in essere.
Poco fa eravamo due stranieri in due paesi lontani,
cosa sarò dopodomani, quando sarò due?
Che ne hai fatto della mia libertà?
Più ti temo, più ti avvicino,
e non ho meriti, amore mio straniero,
se non la mia passione.
Sii dunque una volpe buona tra le mie vigne,
e con il verde dei tuoi occhi fissa il mio dolore.
Non tornerò al mio nome e alle mie steppe.
Mai più,
mai più.
Mahmūd Darwīsh




Immagini e selezione poetica a cura di  Adele Musso


2 commenti:

  1. Immagini e poesie. Non sciupare la vita nel troppo commercio con la gente, stupenda...Nelle mie braccia tutta nuda! Che bello leggere!
    Nina

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