(William Turner)
Oh, ma con i versi si fa
ben poco, quando li si scrive troppo presto.
Bisognerebbe aspettare
e raccogliere senso e dolcezza
per tutta una vita e meglio una lunga vita,
e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe
a scrivere dieci righe che fossero buone.
Poiché i versi non sono,
come crede la gente,
sentimenti (che si hanno
già presto), sono esperienze.
Per un solo verso si devono
vedere molte città, uomini e cose,
si devono conoscere gli
animali,
si deve sentire come gli
uccelli volano,
e sapere i gesti con cui i
fiori si schiudono al mattino.
Si deve poter ripensare a
sentieri in regioni sconosciute,
a incontri inaspettati e a
separazioni che si videro venire da lungi,
a giorni d’infanzia che
sono ancora inesplicati,
ai genitori che eravamo
costretti a mortificare
quando ci porgevano una
gioia e non la capivamo (era una gioia per altri)
a malattie dell’infanzia
che cominciavano in modo così strano
con tante trasformazioni
così profonde e gravi,
a giorni in camere
silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari,
a notti di viaggio che
passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle,
e non basta ancora poter
pensare a tutto ciò.
Si devono avere ricordi di
molte notti d’amore,
nessuna uguale all’altra,
di grida di partorienti, e
di lievi, bianche puerpere addormentate che si richiudono.
Ma anche presso i moribondi
si deve essere stati,
si deve essere rimasti
presso i morti
nella camera con la
finestra aperta e i rumori che giungono a folate.
E anche avere ricordi non
basta. Si deve poterli dimenticare,
quando sono molti,
e si deve avere la grande
pazienza di aspettare che ritornino.
Poiché i ricordi di per se
stessi ancora non sono.
Solo quando divengono in
noi sangue, sguardo e gesto,
senza nome e non più
scindibili da noi,
solo allora può darsi che
in una rarissima ora
sorga nel loro centro e ne esca la prima
parola di un verso.
Rainer Maria Rilke
Cerchi che si tendono
sempre più
ampi sopra le cose è la mia
vita.
Forse non chiuderò l’ultimo
ma voglio tentarmi.
Giro attorno a Dio,
all’antica torre,
giro da millenni;
e ancora non so se sono un
falco,
una tempesta
o un grande canto.
Rainer Maria Rilke
(Marc Chagall)
Fuoco indistinto
Un chiaro fuoco m’abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta…
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.
I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.
Se erompe quella gioia, un’eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso
straniero
come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio – sul bordo di un’estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio…
Paul Valery
LE VANE BALLERINE
Quelle che sono fiori leggeri son venute,
figurine d'oro, bellezze minute
dove iride diviene, debole luna... Eccole
fuggire melodiose nel bosco rischiarato.
Di malva e d'iris e di notturne rose
le grazie nella notte, sotto la loro danza,
schiuse.
Che velati profumi, da quelle dita d'oro!
Ma si sfoglia l'azzurro in questo morto bosco
e riluce a fatica un filo d'acqua sottile,
riposata, come tesoro pallido di antica
rugiada, da cui il silenzio in fiori sale.
Eccoli
melodiosi fuggire nel bosco rischiarato.
Graziose quelle mani verso gli amati calici;
un po' di luna dorme sulle devote labbra
e le loro braccia splendide, dai gesti
addormentati
dipanano piacevolmente sotto gli amici mirti
i fulvi loro vincoli, carezze... Ma talune
del ritmo meno schiave e delle arpe lontane
verso un sepolto lago vanno con passo lieve
a bere dai gigli la gracile acqua in cui dorme
l'oblio.
Paul Valery
(Edgard Degas)
Selezione poetica e immagini a cura di Adele Musso e Fabrizio Sapio