mercoledì 9 dicembre 2015

Forse nella notte qualche ponte verrà sommerso.



 
 
 
   O cittadini della terra mia,
   vedete me che il tramite
   ultimo batto, l'ultima
   luce del sole miro,
   né più mai la vedrò. Ché, viva ancora,
   Ade, che tutti accoglie,
   me trascina alla spiaggia
   del fiume d'Acheronte: alle mie soglie
   inno di nozze non suonò, ché sorte
   non m'ebbi d'Imenèi:
   io sarò sposa al Nume della Morte.
 
    Antigone di Sofocle.
  




 
 
Lieve offerta
 
Vorrei che la mia anima ti fosse 

leggera

come le estreme foglie

dei pioppi, che s’accendono di sole

in cima ai tronchi fasciati

di nebbia -

Vorrei condurti con le mie parole

per un deserto viale, segnato

d’esili ombre - 

fino a una valle d’erboso silenzio,

al lago - 

ove tinnisce per un fiato d’aria

il canneto

e le libellule si trastullano

con l’acqua non profonda - 

Vorrei che la mia anima ti fosse 

leggera,

che la mia poesia ti fosse un ponte,

sottile e saldo,

bianco - 

sulle oscure voragini

della terra.



5 dicembre 1934
Notturno
Curva tu suoni ed il tuo canto è un albero d'argento nel silenzio oscuro. Limpido nasce dal tuo labbro - il profilo delle vette - nel buio - . Muoiono le tue note come gocce assorbite dalla terra. Le nebbie sopra gli abissi percorse dal vento sollevano il suono spento nel cielo.
Voce di donna Io nacqui sposa di te soldato. So che a marce e a guerre lunghe stagioni ti divelgon da me. Curva sul focolare ad uno bragi, sopra il tuo letto ho disteso un vessillo  ma se ti penso all’addiaccio piove sul mio corpo autunnale come su un bosco tagliato. Quando balena il cielo di settembre e pare un’arma gigantesca sui monti, salvie rosse mi sbocciano sul cuore: che tu mi chiami, che tu mi usi con la fiducia che dai alle cose, come acqua che versi sulle mani o lana che ti avvolgi intorno al petto. Sono la scarna siepe del tuo orto che sta muta a fiorire sotto convogli di zingare stelle.
Canto della mia nudità
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto languore della mia capigliatura alla tensione snella del mio piede, io sono tutta una magrezza acerba inguainata in un color avorio. Guarda: pallida è la carne mia. Si direbbe che il sangue non vi scorra. Rosso non ne traspare. Solo un languido palpito azzurro sfuma in mezzo al petto. Vedi come incavato ho il ventre. Incerta è la curva dei fianchi, ma i ginocchi e le caviglie e tutte le giunture, ho scarne e salde come un puro sangue. Oggi, m’inarco nuda, nel nitore del bagno bianco e m’inarcherò nuda domani sopra un letto, se qualcuno mi prenderà. E un giorno nuda, sola, stesa supina sotto troppa terra, starò, quando la morte avrà chiamato.
Palermo, 20 luglio 1929
Antonia Pozzi 
 
 
 
Pozzi profondi e inframmezzi di rondini a mezzo rigo un punto e poi più in fondo E chi confonde il vezzo 
e il microcosmo delle righe spezze e già riprese  
Antonia, un fiore
che conduce avverso alla rima e al foglio bianco. Pazzi che affondano nel niente nessuna corda li ri(con)duce al cielo. E si che d'acqua e fiele tu ne offristi al mondo. Il pozzo è niente a chi confonde sete.
A.M.

7 commenti:

  1. Poesie meravigliose! Grazie per avermi fatto conoscere Antonia Pozzi.

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  2. Una delle mie voci preferite, vi ringrazio
    pat

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  3. Queste poesie sono "un tuffo ammare". Complimenti a tutte!
    Nina

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  4. aggiungo: un tuffo ammare "in un mare di ottobre, quando le spiagge sono deserte e ci si può fare il bagno nudi."
    RosaL.

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  5. Che bella selezione! pozzi chr attirano e innalzano invece di risucchiare. Brava Adele! Fabrizio

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