lunedì 27 aprile 2015

Fili



La distanza dalle cose altera
il quadrilatero delle mie certezze,
la poltrona rossa velluto morbido 
abbraccia il caldo delle cosce.

Il distacco dalle cose proporzionale
alle mie solitudini
circoscrive limiti e sicurezze,
equilibrio precario di una vita in bilico.

Fredda carlinga, aerei in volo
l'ora è tarda ma resto e lo so,
io conosco il modo.

Gli occhi di una donna che ama la sua terra,
lei non dà retta a nessuno,
amaro il frutto che non vede sole,
arido il volto di un vecchio che non ritorna a casa.

Brucia dolore e forza di un amore.
Soldato di guerra spazzata,
aria viziata di una sigaretta non fumata.

Una decisione che fosse metà per me,
percentuale ribelle di una vita padrona;
rock and roll.

Nina Tarantino

venerdì 24 aprile 2015

La parola innocente è stolta













 



Davvero, vivo in tempi bui!
 Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l'ha saputa ancora.

Quali tempi sono questi, quando
discorrere d'alberi è quasi un delitto,
perchè su troppe stragi comporta silenzio!
E l'uomo che ora traversa tranquillo la via
mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici
che sono nell'affanno?

È vero: ancora mi guadagno da vivere.
Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla
di quel che fo m'autorizza a sfamarmi.
Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri,
e sono perduto).

"Mangia e bevi!", mi dicono: "E sii contento di averne".
Ma come posso io mangiare e bere, quando
quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e
manca a chi ha sete il mio bicchiere d'acqua?
Eppure mangio e bevo.


Vorrei anche essere un saggio.
Nei libri antichi è scritta la saggezza:
lasciar le contese del mondo e il tempo breve
senza tema trascorrere.
Spogliarsi di violenza,
render bene per male,
non soddisfare i desideri, anzi
dimenticarli, dicono, è saggezza.
Tutto questo io non posso:
davvero, vivo in tempi bui!
Nelle città venni al tempo del disordine,
quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte,
e mi ribellai insieme a loro.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie.
Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini.
Feci all'amore senza badarci
e la natura la guardai con impazienza.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Al mio tempo le strade si perdevano nella palude.
La parola mi tradiva al carnefice.
Poco era in mio potere. Ma i potenti
posavano più sicuri senza di me; o lo speravo.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.

Le forze erano misere. La meta
era molto remota.
La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me
quasi inattingibile.
Così il tempo passò
che sulla terra m'era stato dato.
Voi che sarete emersi dai gorghi
dove fummo travolti
pensate
quando parlate delle nostre debolezze
anche ai tempi bui
cui voi siete scampati.

Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c'era, e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l'odio contro la bassezza
stravolge il viso.
Anche l'ira per l'ingiustizia
fa roca la voce. Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l'ora
che all'uomo un aiuto sia l'uomo,
pensate a noi
con indulgenza.


Bertolt Brecht, "A coloro che verranno", 1939




 


Galleggia un sandalo affaticato di deserti
un brandello di stoffa felice per la costa intravista
uno sfilaccio di gòmena.

I corpi invece affondano
con la speranza
con la vergogna di stupri e violenze.

Affondano con le loro storie spaiate
serrate nelle sentine dei barconi.

Non li vediamo, ma li udiamo flebili;
i loro urli  emergono col triste scirocco
umido, che piange e sembra confonderci.

Ma noi,  nelle nostre gole porteremo le loro voci
per non lasciarle senza pianto e riposo.
Affinché  i sordi agiscano
urleremo  con le nostre bocche
come sirene di tutti i porti.

Fabrizio Sapio







mercoledì 22 aprile 2015

Io non sono migrante, io sono il prossimo tuo










Agli dei null'altro chiederò che una voce vibrante,
che mi faccia fare a meno dei miei amici spergiuri
mute presenze
che come granito assistono
mentre scorre lava rossa
sul mio corpo
null'altro mi serve
oltre la liana
dove reggo tutti i miei brandelli di carne.
Aspetterò da sola ..come un'isola nel mare
l'angelo
e lascerò che il vento caldo
mi tenga compagnia.



Rosa La Camera








Architettura del XXI secolo
Altare del terzo millennio
Sabbia e ossa
Speranza
Rabbia
Paura
Umori sangue e acqua di mare
Sarà rosso e nero e alto come mille piani
Avrà vele colorate al vento
Dei vestiti volti fazzoletti burka
Inamidati e fermi
Paralizzati dall'ultimo fiato che li mosse
e poi più


Monica Sapio

lunedì 20 aprile 2015

Ricorda sinistramente





















Ricorda sinistramente
L'immagine del degrado sociale
Pericoloso quoziente di violenza repressa 
può procedere verso l'orlo di un burrone 
gli slogan piano sequenza
Effimera ricchezza lamentano l'assenza
L'indice di benessere è crollato
Topos narrativo proteste di piazza
Illusione pericolosa sovversiva



Peppa

lunedì 13 aprile 2015

Cosa è giustizia







un uomo
riconosce i torti compiuti
una donna
accetta che un figlio se ne vada
un padre
chiama fratelli i propri figli
una storia
raccontata con la penna dei vinti

Giustizia
è guardare alla carne rossa della vita
senza diaframmi
poiché addormentano di stupore i prismi delle reliquie
e raffreddano le mani i microscopi delle scienze
e la moneta di per sé non sfama

Giustizia usa con proprietà gli strumenti
poiché l’ascia non è nata per uccidere
né il coltello per ferire

avanza sulle barricate della libertà
e bacia donne dal volto austero
e dalle braccia sporche di fumo

Giustizia s’annida
nelle leggi naturali
che abbracciano tutti gli esseri senzienti
perché non di solo pane ci nutriamo
ma di respiro  sguardo e cammino

sguardo in basso – sguardo in alto
e sempre un perché nella testa.


Fabrizio Sapio